NO ALL’INCOMPETENZA TECNICA.
NO ALLE FALSE MOTIVAZIONI.
NO A RIFORMATORI INADATTI.
Dietro ad un insignificante taglio di spesa, si cela un intervento parziale, raffazzonato, inutile se non a blindare le maggioranze al potere! E siamo certi che non seguirà nessuna riforma organica credibile del sistema elettorale-parlamentare.
Referendum sul taglio dei parlamentari. Prima il silenzio dei commentatori, ora la confusione nell'election day, ovvero la trappola del sì!
Il Movimento Demos Italia formula
Tre NO
alla legge sul taglio dei parlamentari e fornisce elementi di valutazione.
NO ALL’INCOMPETENZA TECNICA.
NO ALLE FALSE MOTIVAZIONI.
La legge di conversione del decreto-legge sulle elezioni, approvata in via definitiva dal Senato il 19 giugno scorso, fissa le elezioni amministrative assieme al referendum costituzionale in due giorni, da tenersi il 20 e 21 settembre, come indetto dal decreto del Presidente della Repubblica del 17 luglio 2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.180 del 18 luglio 2020. Inoltre, sono state anche ridotte ad un terzo le firme per le liste per comunali, circoscrizionali e regionali.
Il quesito referendario, quindi, viene riproposto confuso nella campagna elettorale delle amministrative, a tutto danno di un sereno e approfondito dibattito sui contenuti della riforma.
Avevamo già sottolineato (il 4 marzo 2020 sulla nostra pagina Facebook) come nella prima fase, quando cioè il referendum era stato fissato ordinariamente per il 29 marzo 2020, su di esso fosse calata una sorta di nebbia. Il D.P.R. di fissazione era stato pubblicato nella gazzetta ufficiale del 29 gennaio 2020, ma, curiosamente, solo da metà febbraio è circolata diffusamente la notizia, nel silenzio pressoché assoluto dei media, favorito anche dalla concreta distrazione del coronavirus. Ora temiamo avvenga lo stesso, a causa del prevalere, nel dibattito, dei temi regionali, destinati ad appassionare assai di più ed a fagocitare l'attenzione mediatica.
Ricordiamo, allora, che il referendum, ai sensi dell’art. 138 Costituzione, è confermativo della legge costituzionale n. 240 del 12 ottobre 2019, recante “modifiche agli artt. 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero di parlamentari”, che passerebbero da 945 a 600. Ciò vuol dire che la sua forma è semplificata e non richiede quorum.
È prevedibile che il consenso alla riduzione dei parlamentari raccolga populisticamente un plebiscito, tanto la “casta” è invisa all’opinione pubblica che qualsiasi operazione ad essa avversa è destinata a raccogliere favore. Della riforma si è fatta bandiera una certa parte politica, che le altre, per finto pudore e timore delle conseguenze d’immagine, non si sono azzardate ad avversare. Ciò detto e con buona dose di probabilità, possiamo dedurre che del tema del referendum meno se ne parli, meno si approfondisca, più verranno favoriti gli assertori del “SI”.
Vediamo, quindi, le conseguenze pratiche di un taglio netto del numero dei parlamentari (e non anche dei privilegi economici dei singoli), non accompagnato da un’organica riforma di tutto il sistema di rappresentanza politica e da una legge elettorale coerente.
Premessa.
I Padri costituenti avevano creato un sistema di rappresentanza mobile basato sulla proporzione fra cittadini e parlamentari. Era fisso il solo rapporto con la popolazione: un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000.
Solo con la legge n. 2 del 1963 il numero è stato cristallizzato: 630 e 315, più i senatori a vita. Oggi il rapporto è di un deputato ogni 96.006 abitanti (passerebbe a 151.210) e di un senatore ogni 188.424 abitanti (passerebbe a 302.420). Con la nuova legge l’Italia sarebbe il Paese europeo col minor numero di eletti in raffronto alla popolazione. Rapporto tale da allontanare sempre più l’eletto dagli elettori e da accrescere quindi la disaffezione per la politica.
Sfatiamo un mito.
L’Italia, attualmente, non ha il primato del numero. Il Regno Unito ha 650 Commoners e 827 Lords, pari ad un parlamentare ogni 46.000 abitanti. In proporzione agli abitanti, noi siamo al 23°posto in UE, con 1,6 parlamentari ogni 100.000 abitanti. Malta ha un rapporto di 1/6.000, Lussemburgo di 1/10.000, Estonia 1/13.000. La Francia ha 925 parlamentari, la Germania ne ha 778, ma poi ha gli analoghi organismi in tutti i vari Lander. La stessa cosa accade agli Stati Uniti d'America, che se hanno 100 senatori e 435 deputati, dunque 535 parlamentari per 327 milioni di persone, tuttavia sono un autentico stato federale, in cui i Parlamenti degli Stati federati hanno competenze simili agli Stati europei più che alle nostre Regioni; ma se anche così non fosse, i consiglieri regionali italiani totali sono 884, i parlamentari degli stati federati USA oltre 1.800.
Nel mondo, il primato spetta alla Repubblica di San Marino con un rapporto 1/557, mentre tra i Paesi con oltre il milione di abitanti, la Guinea Equatoriale con 1/7.457. In questa classifica mondiale, l’Italia è al 148° posto.
Le alterazioni alla rappresentatività politica.
Abbiamo detto che la riforma apporterebbe distorsioni se non accompagnata da un’organica revisione di tutto il sistema di rappresentanza politica e da una legge elettorale coerente. Ebbene, vista la prova già data nella riforma della Giustizia, appare altamente improbabile che queste maggioranze siano in grado di fare una riforma complessiva e omogenea in tempi accettabili e con contenuti credibili. Quindi, il taglio secco dei rappresentanti parlamentari apporterebbe le seguenti alterazioni.
ALLEGATI:
D_20200910_Comunicato-DEMOS-referendum.pdf
[1] Dal 25 giugno 1946 al 31 gennaio 1948.